Sartre e Pirandello: Il fu Mattia Pascal e La nausée, un confronto.


Sarte e Pirandello, due tra i nomi più insigni del Novecento, ha senso un confronto? E’ possibile? Personalmente ritengo di sì: sono anche troppe le similitudini tra le due opere letterarie, entrambe da Nobel, anche se – qui una delle diversità – Pirandello accettò il premio e Sartre lo rifiutò. Entrambe hanno a tema l’esistenza, anche se Pirandello la tematizza proprio tramite l’accentuazione dell’assurdo e del paradosso, ma così facendo altro non finisce per fare che mostrarne la più piena realtà. Entrambe tematizzano la soggettività umana nella sua concretezza e, soprattutto nella sua finitudine. Entrambe hanno per protagonista, non è più tempo di eroi, un antieroe, il quale, proprio in questa sua dimensione assurge però ad emblema ed a simbolo. Entrambe hanno sullo sfondo quell’espressione più completa della finitudine, che è la morte, in Sartre eco, e altrimenti non poteva essere, dell’impostazione heideggeriana, in Pirandello l’eco è forse più antica. L’ombra dell’obblìo l’ affianca in entrambi. Già Seneca osservava che il passato appartiene alla morte (Epistole a Lucilio), l’uomo però può vivere solo trascendendosi al di là del proprio passato, ossia solo a cospetto, in definitiva, della morte. L’uomo in quanto connotato, definito, identificato dal proprio passato è allora connotato, definito, identificato, dalla morte. La malinconia del destino dell’uomo è quella ch’esso, che è soggetto, che è pensante e agente, può – paradossalmente – conoscersi solo nella misura in cui si rende oggetto del proprio pensiero, ossia nella misura in cui è negata la sua soggettività: l’uomo può conoscersi solo in quanto e per quanto già stato. E’ la conclusione di Pirandello: Nel cimitero di Mirano, su la fossa di quel povero ignoto che s’uccise alla Stìa, c’è ancora la lapide dettata da Lodoletta: Colpito da avversi fati Mattia Pascal bibliotecario cuor generoso anima aperta qui volontario riposa. La pietà dei cittadini questa lapide pose. Io vi ho portato la corona di fiori promessa e ogni tanto mi reco a vedermi morto e sepolto là.Qualche curioso mi segue da lontano; poi, al ritorno, s’accompagna con me, sorride, e – considerando la mia condizione – mi domanda: Ma voi, insomma, si può sapere chi siete? Mi stringo nelle spalle, socchiudo gli occhi e gli rispondo: Eh, caro mio … Io sono il fu Mattia Pascal. Analoga è la conclusione di Sartre: Ed io anch’io ho voluto essere. Non ho voluto altro stesso che questo: ecco la realtà sottile delle cose, della storia. Ora vedo chiaro nell’apparente disordine della mia vita: al fondo di tutti questi tentativi apparentemente senza legame, si ritrova lo stesso desiderio: cacciare l’esistenza al di là di me, ripulire tutti gl’ istanti dal loro untume, torcerli, seccarli, purificarmi e cristallizzarmi per sfociare infine nel suono chiaro e preciso di una nota di sassofono. Ma quest’aspirazione, che è l’aspirazione ultima del soggetto, è un’aspirazione destinata allo scacco. Solo in parte ci si può sottrarre a questo scacco: Vorrei sentir cantare la negrizia. Per un’ultima volta. Essa canta. Ecco due che sono salvi: i giudei e la pigrizia. Salvi. Può essere ch’essi si siano creduti annientati del tutto, negati nell’esistenza stessa. E pertanto nessuno potrà pensare a me come io penso a loro, con la stessa dolcezza. (…) Forse potrei tentare anch’io … Naturalmente non con un brano musicale … Ma se tentassi con un altro genere? Dovrebbe trattarsi di un libro: io non so fare altro. Ma non un libro di storia: la storia parla di ciò che è esistito – mai un esistente può giustificare l’esistenza di un altro esistente. Il mio errore è stato di voler risuscitare M. de Rollebon. Un’altra spesie di libro. Non so bene quale – ma bisogna che si presagisca, al di là delle parole scritte, delle pagine, qualcosa che non esista, che sia al di là dell’esistenza. Una storia per esempio, alla quale non si possa arrivare, un’avventura. Bisogna ch’essa sia bella e dura come l’acciaio, ch’essa faccia vergognare la gente della propria esistenza. (…) Un romanzo. E ci sarà chi lo leggerà e dirà: E’ Antoine Roquentin che l’ha scritto, uno coi capelli rossi che stava nei Caffè, e penserà alla mia vita come io penso a quella della nigrizia: come a qualcosa di prezioso e di semileggendario. Sartre qui non è ancora quello della Critique, perciò è tematizzato solo il soggetto, non ancora il soggetto e la società. Ne Il fu Mattia Pascal – più complesso - Pirandello invece tematizza anche questo. Ma anche in Pirandello Mattia Pascal tenta di sottrarsi al primo scacco con la scrittura, con il romanzo, al pari di Antoine Roquentin, e circa con gli stessi esiti. C’è però la tematica aggiuntiva e si rende così necessaria anche una premessa seconda, che la introduce. L’uomo e la società è il soggetto e l’altro, meglio è il soggetto, l’altro e la società. E’ un’interazione la quale necessita di riferimenti comuni per poter essere. Si profila qui quello che era già stato per antonomasia il problema della società ai tempi ancora di Galilei e che aveva avuto vasta portata nelle sue vicissitudini, quello – semplificatamene – del copernicanesimo: Copernico, Copernico, don Eligio mio, ha rovinato l’umanità, irrimediabilmente. Ormai noi tutti ci siamo a poco a poco adattati alla nuova concezione dell’infinita nostra piccolezza, a considerarci anzi men che niente nell’ Universo, con tutte le nostre belle scoperte ed invenzioni; e che valore dunque volete che abbiano le notizie, non dico delle nostre miserie particolari, ma anche delle generali calamità? Si profila cioè su quest’altro piano, tolto il geocentrismo e perciò l’antropocentrismo che ne derivava, un secondo scacco. La situazione, in realtà più tragica di quanto detto, è ben schizzata da un altro allievo della stessa facoltà di filologia dell’università di Bonn cui si era laureato Pirandello, Friedrich Nietzsche: … Il folle balzò in mezzo a loro e li trafisse con lo sguardo. Dov’è andato Dio? Gridò. Ve lo dico io. L’abbiamo ucciso noi, - voi e io! Noi tutti siamo i suoi assassini. Ma come abbiamo fatto? Come siamo riusciti a bere tutto il mare, fino all’ultima goccia? Chi ci ha dato la spugna per cancellare tutto l’orizzonte? Che cosa abbiamo fatto quando abbiamo svincolato la terra dal suo sole? Ma in che direzione si muove adesso? In che direzione ci muoviamo noi? Lontano da ogni sole? Non precipitiamo sempre più? E all’indietro, di lato, in avanti, da ogni parte? Esistono ancora un sotto e un sopra? Non vaghiamo attraverso un nulla infinito? Non avvertiamo l’alito dello spazio vuoto? Non fa più freddo? Non scende di continuo la notte, sempre più notte? Non occorre accendere la lampada anche al mattino? … (F. Nietzsche, La gaia scienza, af. 125). Togliere o cambiare una concezione antropologica, togliere o cambiare delle convenzioni sociali è, di fatto, togliere l’uomo, in quanto questi si definisce e si determina sempre all’interno di quello che Heidegger chiamava esserci, Sartre diceva en situation. Scomparso e dato per morto, Mattia Pascal, dopo una grossa vincita al casinò inizia una nuova vita quale Adriano Meis. Il desiderio di spezzare le catene delle convenzioni sociali, lo slancio verso la riconquista di un’originaria purezza e autenticità falliscono: perché la vita deve comunque darsi una forma ma questo avviene necessariamente all’interno di un contesto sociale e delle sue convenzioni. E’ vero che l’interazione è reciproca: sono i singoli a determinare la società, ma è la società a determinare i singoli e la forza della società è quasi sempre più forte di quella dei singoli. Mattia Pascal non ha mai fatto né pensato di fare nulla per incidere sulla società, né per spostarsi dal suo contesto sociale. Semplicemente ora forte di una nuova realtà economica vi si pone con un nuovo nome, un nuovo abito, una nuova forma, ma il contesto e perciò i suoi condizionamenti restano gli stessi. E sono questi ad essere per lui insuperabili. Lo scontro tra questi ed il desiderio di purezza porta all’unica purezza qui possibile: tornare Mattia Pascal. Ci si libera presto di Andrea Meis con un inscenato suicidio. Ma Mattia Pascal, ormai, era morto pure lui, almeno per la società e le sue convenzioni, dunque Mattia Pascal, il vivo, non può più tornare ad essere neppure lui. Chi potrà allora essere? Ebbene io sono il fu Mattia Pascal.

francesco latteri scholten