La radice comune della crisi del capitalismo e del marxismo: il concetto falso e ideologico della "mano invisibile".


Si intende qui "ideologico" nel senso proprio del termine, idea e Logos. Il concetto e la sua "ratio" applicativa, il metodo. E' Adam Smith, il padre dell'economia moderna, nella sua celebre opera fondativa della stessa, "La ricchezza delle Nazioni" a porlo e proporlo: "[Quando l'imprenditore dirige la sua] attività in modo tale che il suo prodotto sia il massimo possibile, egli mira solo al suo proprio guadagno ed è condotto da una mano invisibile, in questo come in molti altri casi, a perseguire un fine che non rientra nelle sue intenzioni. Né il fatto che tale fine non rientri sempre nelle sue intenzioni è sempre un danno per la società. Perseguendo il suo interesse, egi spesso persegue l'interesse della società in modo molto più efficace di quando intende effettivamente perseguirlo.("La ricchezza delle Nazioni", pag. 391)". Semplificando: il capitalista, operando per l'accrescimento egoistico del proprio capitale, inevitabilmente, opera anche per il "bene comune", anzi, lo fa meglio che se lo facesse intenzionalmente. Il concetto della "mano invisibile" è ripreso tacitamente, forse inconsapevolmente, anche da Karl Marx, nella parte di gran lunga meno valida e più discutibile de "Il capitale", quella non più analitica, ma ideologica. Marx, nella sua analisi parte - e parte molto bene - dagli stessi concetti smithiani di mercato, di salario e di valore, la sua analisi è anche spesso sovrapponibile a quella dell'inglese, se ne distingue per una ancor maggiore sottigliezza ed acume, per una attenzione sociale maggiore di quella già assai elevata per i suoi tempi, dell'economista di Kirkcaldy. L'esito dell'analisi è quello noto: il mercato finisce con il creare due cicli intrecciati inestricabilmente, il ciclo MDM (Merce Denaro Merce) ed il ciclo DMD (Denaro Merce Denaro). Il lavoratore finisce incatenato al primo, il capitalista fruisce del secondo. La realtà finanziaria poi impone un ulteriore giogo al lavoratore e dà un'altra fruizione al capitalista. L'esito è una divisione della società in classi: i lavoratori da un lato - sempre più oppressi - i capitalisti - sempre meno e sempre più ricchi - dall'altro. Un sistema destinato al collasso: divenuta insopportabile l'oppressione causa la rivolta, gl'oppressi ed usurpati riprendono il proprio dagli oppressori ed usurpatori e "una mano invisibile" rimette tutto a posto. Ebbene, la storia ha mostrato, caso mai ve ne fosse bisogno, che così non è. Non ci sono "mani invisibili" che operano il miracolo per cui dall'egoismo di alcuni scaturisca il "bene" di tutti. In altre parole, ciò che avrebbe dovuto essere chiaro a chiunque dall'inizio: il "bene comune" impossibilmente origina dalla sommatoria degli egoismi dei singoli. Neppure dal fatto che gl'usurpati si riprendano il loro. FIAT, OMSA, PRADA etc. dimostrano esattamente questo: che non è assolutamente vero che l'interesse ed il profitto dell'imprenditore e dell'impresa coincidano con quello del Paese e del popolo al quale essi appartengono per origine. Tantomeno è vero che sostenendo l'impresa si sostenga il "bene comune" o quello del Paese o dei lavoratori. Similmente, mutatis mutandis, dicasi anche per i carri armati in Ungheria nel secolo scorso.